Rilke. Biografia di uno sguardo (Ananke, Collana di filosofia, 2006) non è un’eccezione. “È bello, ma è un libro di filosofia”, mi aveva avvertito l’amico Paolo Di Paolo, giovane scrittore, anche lui ammiratore della Capriolo. E io, che con i concetti filosofici ho avuto sempre un rapporto difficile, vacillai, ma alla fine ci sono cascato. Mi sa però che questa volta neanche la seconda lettura mi ha condotto oltre la soglia che separa il momento d’incantesimo da quello della comprensione.
Dopo la rilettura di questo Rilke ho scritto a matita, nell’ultima pagina, quattro parole che mi sono sembrate significative. A dire il vero, ce ne sono anche altre (amore, Dio…, per esempio), ma penso che il succo del libro stia in queste quattro parole: immagine, oggetto, metamorfosi, salvezza.
Scusate se lascio fuori le tre ultime: oggetto, metamorfosi e salvezza (in estrema sintesi: Rilke, a un certo punto, ritiene che trasformare le cose in oggetto sia un’aggressione ignobile, e per evitare un tale abuso produce in esse, con la sua visione di poeta, una metamorfosi che riesce a ridare unità, a salvare un mondo frantumato, in preda agli uomini). Lasciamo quindi queste tre sorelle e puntiamo sull’immagine, la sposa dello sguardo di cui al titolo del libro.
C’è un passo celebre dei Quaderni di Malte Laurids Brigge, rivisitato dalla Capriolo , in cui Malte, travestito con i vecchi costumi trovati in un ripostiglio del castello di famiglia, scopre turbato, guardandosi nello specchio, di essere l’immagine del Malte dello specchio, e non il contrario. Paola Capriolo, che già come narratrice aveva affrontato il rapporto tra immagine e identità (vanno qui ricordate due opere sue, La grande Eulalia e Con i miei mille occhi, in cui gli specchi assalgono in modo determinante i protagonisti), ne fa adesso uno sviluppo filosofico.
La laurea in filosofia della Capriolo è una marcia in più che va riconosciuta, per cui mi astengo dal pronunciarmi sugli estremi di tale sviluppo. Invece faccio un’ipotesi sui personaggi di questo gioco degli specchi. Si sa che il Malte di Rilke è un’evocazione (un riflesso) di un poeta norvegese, Sigbjörn Obstfelder (1866-1900): quindi nel romanzo di Rilke il Malte che si guarda nello specchio sarebbe lo stesso Rilke; e il Malte dello specchio, Obstfelder. Nel libro della Capriolo, invece, il vero Rilke dovrebbe essere quello che compare sullo specchio, mentre quell’altro che si guarda è, a mio avviso..., Paola Capriolo.
È chiaro però che tutto ciò importa poco. In gioco è invece la realtà stessa dell’arte. Superfluo dire quanto la metafora degli specchi sia inquietante per il poeta, produttore (o piuttosto prodotto?) di realtà immaginarie.
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