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Cosmos e logos
George Steiner tocca in Grammatiche della creazione (Garzanti, 2003) molti temi. Ma il filo del suo discorso mi è sembrato, in sostanza, lo stesso della sua opera più nota, Vere presenze (1986): la creatività umana, anche se spesso aspira a proclamarsi autonoma, non lo è affatto. Malgrado tutti i tentativi di spogliarla di vincoli oggettivi tramite teorie del linguaggio, decostruttivismi e altro ancora, ha sempre dietro un referente reale (una presenza vera). Anzi, senza una grammatica codificata nel reale, non c'è creatività.
Ed è a questo punto che la cosa diventa seria. Torna anche in Grammatiche della creazione, come in Vere presenze, il grido ontologico di Steiner, ultima Cassandra di Occidente, di fronte all'attuale processo di rottura di quella alleanza tra cosmos e logos su cui la nostra cultura si è retta fin dalle sue origini. Ma adesso questo grido è più esplicito e, al tempo stesso, più rassegnato.
Più esplicito, perché punta il dito senza mezzi termini sull’abbandono della categoria metafisica e teologica di creazione come negazione coatta della possibilità di creazione umana. Più rassegnato, perché non vede alcuna possibilità di uscita da questo vicolo cieco. “La fine della creazione”, anziché Grammatiche della creazione, potrebbe essere il titolo di questo libro (penso soprattutto agli ultimi capitoli). Insomma, dice Steiner, la letteratura e l’arte sono al capolinea. E io in parte sono contento, perché allora devo mandare in soffitta anche questo blog, che, diciamo tutto, dopo quasi due anni di attività forse è diventata merce scaduta, non vi sembra?
Eppure qualche spiraglio per la creazione c’è, secondo me.
A un certo punto, Steiner parla dell’apparizione del movimento Dada e del suo ruolo nel processo di scissione tra discorso letterario e ordine razionale del mondo (e quindi di autoannullamento della creatività), a partire da un poema senza significato riconoscibile che ha scritto Hugo Ball nel 1916:
hollaka hollala
blago bung
blago bung
bosso fataka
ü üü ü
Ebbene, Hugo Ball, che nel 1916 rifiutava platealmente quel mondo assurdo e inumano (siamo ai tempi della grande guerra), è stato successivamente, fino alla sua prematura morte, un cattolico fervente.
Il dato può essere poco significativo per un agnostico come Steiner, ma per me è rivelatore di come la trascendenza non è legata a ciò che di essa possiamo pensare noi uomini. E lo stesso si dica, naturalmente, di quella costola della trascendenza che chiamiamo creatività, sempre in attesa di nuovi esploratori di vere presenze.
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