venerdì 12 giugno 2009

Riflessioni di un catacombaro

A pochi passi da casa c’è una catacomba: una delle tante catacombe romane chiuse al pubblico. E alcune settimane fa ho avuto occasione di perlustrarla con una quindicina di amici. Fa impressione: ha una grande basilica ipogea, affreschi, mosaici, nicchie a perdita d’occhio con ossa dei primi secoli dopo Cristo... Per visitarla si deve ottenere un’autorizzazione della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, che predispone la presenza in loco di un addetto, e pagare cento euro, per cui, naturalmente, più gente c’è meno paga ognuno (ma c’è un limite: appunto quindici persone).

Con i suoi tre piani di gallerie, quella catacomba mi ha fatto pensare alla Divina commedia: inferno, purgatorio e paradiso. Non solo: nella catacomba sono entrato dal giardino di un normale villino unifamiliare, un po’ come Dante ha iniziato la sua discesa nell’aldilà; e similmente a quel percorso, che ha riportato Dante tra i suoi cari, così la catacomba, per quanto ho saputo una volta dentro, estende i suoi tentacoli fino ad arrivare... quasi sotto la mia casa.

Infatti, la Divina Commedia va letta così: non è terra incognita, come dicevano gli antichi esploratori, è il proprio, intimo, personale sottoterra, di Dante e di tutti noi. Non vorrei incomodare nessuno, ma in questo ultimo post (come annunciavo la settimana scorsa, sto chiudendo il blog) forse è il caso di essere, una volta tanto, un po’ apocalittici.

Essere apocalittici è parlare della fine del mondo, ma anche del dopo. Per esempio, del paradiso.

Dante dice che ciò che là si vede non può essere riferito, “perché appressandosi al suo disire / con l’intelletto si profonda tanto / che dietro la memoria non può ire”, cioè perché la volontà (il desiderio, il “disire”), e con essa l’intelletto, ne sono attirati con una tale forza che la memoria resta dietro, incapace di registrare quelle meraviglie. Che delle tre potenze dell’anima (memoria, intelletto e volontà) sia la memoria ad avere la peggio non mi stupisce: tra l’altro, san Giovanni della Croce dice che “alla sera della vita saremo esaminati sull’amore”, cioè sulla volontà. Ma è singolare che lo dica proprio Dante, che con tanta cura ricorda i torti che gli hanno fatto i suoi nemici, collocati sempre, non per caso, nell’inferno.

Comunque a me sta bene che invece nelle vicinanze di Dio la memoria non conti più di tanto; e soprattutto che Dio stesso sia un po’ smemorato, se —così ci dicono— è la misericordia (la disposizione a perdonare) l’attributo più genuino di colui che muove il sole e le altre stelle.

5 commenti:

Mary Lennox ha detto...

Da vero mi dispiace mi stavo habituando a leggere questo Blog, ma così è la vita.
Comunque grazie!
Saluti
Mary

ALF ha detto...

Grazie a te.
A un'altra occasione.
Alf

Anonimo ha detto...

Ma come, ci lasci? Proprio vero che le cose belle finiscono troppo presto. Ma è giusto che sia così, perchè le cose belle sono sempre dei semi e quindi non possono che essere piccole, per loro natura accennano, abbozzano più che esaurire il discorso, ben sapendo che il seme coltivato racchiude in sè non solo l'albero ma tutta quanta la foresta del bene e della felicità.
Pienamente d'accordo anche sul finale dedicato alla misericordia, quella barca su cui tutti sedimao per attraversare il mare.
Anche Manzoni ne era convinto e affidava il compito di recare misericordia allo Spirito, invocandolo per tutte le età della nostra vita:

"Tempra de’ baldi giovani
il confidente ingegno;
reggi il viril proposito
ad infallibil segno;
adorna la canizie
di liete voglie sante;
brilla nel guardo errante
di chi sperando muor."

Luigi Murtas

ALF ha detto...
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Anonimo ha detto...
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