venerdì 13 febbraio 2009

Not in my name

“È morta Eluana”. Stavo andando a cena con l’amico Leo quando la moglie, da Foligno, gli ha inviato un SMS. Era previsto, ma comunque la notizia mi ha rattristato.

Non è più il momento di parlare di Eluana, lo so. Ma, siccome tutti ne parlano, forse portare al chiacchiericcio un po’ di positività non nuoce. E a questo proposito niente di meglio del libro Strada facendo, di Luis de Moya (Cooperativa Cercate, 2001), poco diffuso in Italia ma di cui la versione originale spagnola è in rete .

Luis è medico e prete; e da quasi vent’anni, in seguito a un incidente, è anche tetraplegico. “Anche”, sì, perché dopo l’incidente continua a essere la stessa persona. Nel libro racconta, per esempio, come celebra la messa ogni giorno malgrado la sua ridottissima mobilità (diciamo tutto, sempre con l’aiuto di altri sacerdoti: più che celebrazioni, le sue sono concelebrazioni).

Strada facendo è una lettura ossigenante che testimonia di un impegno cocciuto per superare l’insuperabile. Strada facendo è la storia di Luis: una storia raccontata integra —non dal momento dell’incidente, ma dall’infanzia—, scritta a colpo di mento con un computer per disabili.

Nella sua strada, Luis non trova soltanto vittorie: con la stessa parsimonia con cui riferisce i successi, i piccoli passi in avanti, riferisce pure i passi indietro, le umiliazioni a cui lo sottopone il corpo, i momenti di scoraggiamento... Sconfitte? Infatti qualche sconfitta c’è. Ma certamente non c’é mai, nella storia di Luis, la resa. Senz’altro la fede lo aiuta: avendo la fede, dice a un certo punto, mi vedo come un miliardario che ha perso mille pesetas.

Il fatto sta che Luis vive senza mani, senza gambe, senza niente funzionante sotto la testa, senza poter fare neanche una passeggiata quando gli viene la voglia (quante cose che per noi sono scontate hanno un valore immenso!). Ma è felice: felice di portare ancora acceso il lumicino della vita.

Una volta, di mattina presto, sono svenuto: forse perché mi trovavo in una stanza chiusa con molte persone, forse perché non avevo fatto colazione, forse perché avevo appena subito una impressione forte. Comunque, ricordo bene che quando, aiutato da un medico, ho cominciato a riprendere i sensi, all’inizio (brevissimi istanti) non capivo in che posto di questo mondo mi trovassi, né in che momento della mia vita. Ma ricordo pure che sapevo benissimo una cosa: avevo coscienza di essere “io”. Tutto qua. Ma non era poco.

Ecco perché io non avrei spento quell’ultima fiammella di Eluana che fino a lunedì rimaneva ancora viva.

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