venerdì 5 dicembre 2008

Il senzatetto della porta accanto

Contadino, calzolaio, spazzino, pescatore, falegname..., e finalmente scrittore. Knut Hamsun ha molte cose in comune con il suo coetaneo Axel Munthe (l’origine scandinava, la longevità quasi centenaria), ma senz’altro quello che li divide è molto di più. Il dottor Munthe ha conosciuto soltanto gli agi dell’esistenza borghese, invece Hamsun (1859-1952) ha dovuto lottare duro per la vita; a momenti anche facendo la fame, quando, senza lavoro e senza casa, si votava tutto alla scrittura per poi non ricavarne un bel niente.

Proprio la fame, sì. Non so fino a che punto Fame (1890), il romanzo con cui finalmente Hamsun ce l’ha fatta, si può ritenere autobiografico, ma mi dicono che certamente ha a che fare con le sue personali esperienze.

Fame, pubblicato in italiano da Adelphi (2002), è una storia di poveri, ma chi si accingesse a leggerla con gli occhiali, per esempio, del romanzo naturalista resterebbe subito confuso. Diciamo tutto: in realtà, Fame non è una storia di poveri, è la storia di un povero. Perché è la condizione personale del protagonista, un eroe solitario, non quella della sua classe, o della società nel suo insieme, ciò che Hamsun prende in considerazione.

Questo primo piano sull’individuo fa diventare l’esperienza della fame qualcosa di estremamente concreto. E così apprendiamo, per esempio, che la fame a un certo punto ti fa uscire di senno e ti costringe a mangiare la segatura, oppure a strapparti la tasca della giacca per farne un boccone, anche se nelle strade di Cristiania (l’attuale Oslo) i negozi di alimentari non mancano.

Come il santo bevitore di Joseph Roth, l’aspirante scrittore di Hamsun è un senzatetto che nulla chiede a nessuno e che si sa nelle mani di Dio: forse a un certo punto si ritiene dimenticato da Dio, è vero, ma sa benissimo che allora a niente serve cercare appigli altrove.

Penso subito a don Mario Picchi, un sacerdote che ho conosciuto anni fa e che promuove a Roma tanti programmi per persone disagiate, dai tossicodipendenti ai senzatetto. Che Dio non si dimentica mai di queste persone è una verità che trova in lui il tagliando dei fatti.

Chi, come me, può fare tranquillamente tre pasti al giorno... e non è don Mario Picchi, forse dovrebbe cominciare per leggere questo libro. Un libro di fame vissuta che magari ci suggerirà di guardare in modo diverso a chi di notte, tornando a casa, troviamo disteso sul marciapiede sotto una coperta sporca.

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