
Oggi è venerdì e dovrei scrivere un post, ma oggi è anche il mio compleanno e quindi faccio festa. Lascio il posto a Francesco Alberoni: ecco un articolo suo che ho trovato sul Corriere della sera qualche tempo fa e che mi sembra illuminante.
Se la banalità dilaga alla fine l’arte ci salverà
In tutti gli uomini c'è una superficie e una profondità. La superficie è piatta e uguale, la profondità un abisso. Noi viviamo abitualmente in superficie, nel mondo della banalità, del si dice, della chiacchiera, del distrarsi, del ripetuto, dove non ci sono emozioni ma, al massimo, sorpresa o curiosità. La curiosità del delitto di Perugia o dell’ultimo film di Boldi o dell'ultima dichiarazione di Berlusconi. Puoi restare dieci giorni davanti al televisore, guardare tutti i talk show, tutti i dibattiti politici, tutte le partite di calcio, e non allontanarti un istante dalla superficie. Puoi perfino andare in vacanza, in crociera, fare affari restando in superficie.
Eppure, è strano, gli uomini sono attratti dalla profondità. Quando i giovani dicono che vogliono provare delle emozioni violente, con la droga, l'alcol, il sesso sfrenato o correndo in automobile, o nelle prove no limits, cercano qualcosa che sta al di là. Non è detto che la trovino, forse la trovano per un istante e devono perciò ripetere l'esperienza estrema finché anche questa non si usura, non perde il suo potere.

Ma c'è un’altra strada verso la profondità: l'arte, la grandissima arte. Ci sono dei libri, dei romanzi, dei film, dei brani musicali, talvolta delle opere di pensiero, che invadono il nostro spirito e sembrano sul punto di farlo esplodere tanto ci apriamo al mondo, agli altri, a noi stessi. E vediamo qualcosa della nostra essenza e di cosa potremmo essere. Allora il nostro abituale modo di vivere ci sembra un vestito vecchio, abbandonato in un angolo della stanza. Francesco Alberoni
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