venerdì 29 gennaio 2010

Vuoto e rumore (ancora su Natalia Ginzburg)

Nel 1970, Natalia Ginzburg ha riunito in un libro alcuni saggi brevi che aveva scritto negli anni precedenti per giornali e riviste. Il volume, dall’incalzante titolo Mai devi domandarmi, è stato riproposto successivamente più volte, sempre da Einaudi. L’ultima edizione è del 2007.

Di questo libro, letto e restituito anni fa, conservo due citazioni. Due frammenti coraggiosi sul vuoto come mondo interno ed esterno dell’uomo nuovo contemporaneo. Certo, Mai devi domandarmi ha compiuto quarant’anni e sarebbe il caso di verificare fino a che punto le sue osservazioni siano ancora valide. Se interessa il mio giudizio, io direi che lo sono, cioè che interpellano anche l’uomo a noi contemporaneo, perché colgono aspetti di un certo momento dell’umanità che non sono stati ancora divorati dal tempo.

Per Natalia Ginzburg, il vuoto come habitat dell’uomo attuale trova una manifestazione lampante, per esempio, nell’arte, con le sue banali proposte di fuga dalla bellezza. “Portando così di peso nell’arte la realtà più transitoria e più vile”, scrive la Ginzburg, “l’uomo di oggi intende esprimere il vuoto e la sfiducia che lo circonda, vuoto da cui non trae che una scopa, una palla di vetro o una macchia di vernice”.

Ma non è soltanto il vuoto diciamo “ambientale” a essere pateticamente espresso in tali proposte: in esse, prosegue la nostra autrice, traspare pure il vuoto psicologico, interno all’artista, che esprimendo tramite oggetti squallidi il vuoto esteriore “esprime anche la sua volontà di risparmiare a se stesso il sangue, il travaglio, lo strazio e la solitudine della creazione”.

Poi c’è l’altra citazione, che in realtà mi piace di più. È sulla sregolatezza come manifestazione del vuoto e come vicolo cieco dell’animo. Infatti nell’uomo nuovo, nell’uomo diciamo “liberato”, Natalia Ginzburg constata una angoscia più insidiosa dei vecchi asservimenti. “L'essersi così sbarazzato di complessi e inibizioni”, dice, “non lo rende fiero né lo rallegra, perché l'uomo di oggi non ha dentro di sé un luogo dove rallegrarsi o andar fiero. Inoltre sa che il mondo delle angosce e degli incubi non si è dissolto, ma è stato semplicemente chiuso fuori e si affolla sulla sua soglia”.

È così, dice la Ginzburg, che emerge l’uomo tutto sesso, droga e rock & roll. “Gli strumenti per difendersi da queste presenze nascoste gli sono stati insegnati, ed egli li adopera. Essi sono la droga, la collettività, il rumore, il sesso. Sono le espressioni molteplici della sua libertà. Non fiera e non allegra, e nemmeno disperata perché non ha memoria d'aver mai sperato nulla, priva di passato e di futuro perché non ha né propositi né ricordi, questa libertà dell'uomo di oggi cerca nel presente non una fragile felicità, che non saprebbe come usare non possedendo né fantasia né memoria, ma invece una fulminea sensazione di sopravvivenza e di scelta”.

Lo sballo come forma di vita, anzi di sopravvivenza: ecco l’approdo del vuoto nell’uomo di oggi. D’accordo, non è una scoperta che nessuno abbia fatto prima della Ginzburg. Ma lei lo dice così bene...

Nessun commento: