venerdì 3 ottobre 2008

Questione di tono

I libri in cui gli scrittori parlano sulla scrittura mi interessano. Spesso penso che ogni autore dovrebbe scriverne uno con le sue esperienze.

Ho avuto fra le mani qualche tempo fa Niente trucchi da quattro soldi (minimun fax, 2002), di Raymond Carver, una mostra di questo particolare filone. Premetto che non si tratta di un libro appositamente scritto da Carver, ma di una antologia postuma curata dai suoi editori italiani. Le fonti sono interviste, conferenze, prefazioni ai propri libri di racconti, interventi critici, ecc. Il risultato è sorprendente: certamente funziona.

Un’idea centrale del libro, un’idea che tra l’altro fa onore al titolo, è la ricerca, da parte dell’autore, di un tono, di una propria voce, prima ancora che di una tecnica. “Non credo che il tono sia qualcosa che lo scrittore possa mettere insieme in quattro e quattr’otto”, dice Carver. “È il suo modo di guardare il mondo e lo scrittore applica costantemente questo punto di vista alle cose che scrive. Ogni riga non può che restarne influenzata. Per quanto riguarda la tecnica, credo che la tecnica si possa insegnare. Si possono insegnare una serie di cose da fare o non fare quando si scrive. Si può far capire a una persona come scrivere meglio le frasi. Ma non credo che per questo atteggiamento dell’autore rispetto alla propria opera —ossia per il suo tono— possa valere lo stesso discorso. Perché se il tono della sua scrittura non è il suo, se è il tono di un’altra persona o una certa filosofia che si cerca di assimilare, il risultato sarà disastroso”.

In un autore, quindi, “tono” starebbe per autenticità, per quell’essere se stessi che tante volte fa a pugni, per esempio, con il media system, con l’apparire, con la posa dettata dal mercato (non solo editoriale) a cui tanti scrittori, anche dotati, spesso soggiacciono.

Per quello che so, Carver non è di questi: non un’ideologia, non un atteggiamento di moda hanno condizionato la sua scrittura. A dare il tono ai suoi racconti troviamo sempre il suo personale sguardo sul mondo. Con quello sguardo si può essere o meno d’accordo, ma questo è un altro discorso.

Io, per esempio, all’inizio ritenevo Carver troppo fissato con le crisi di coppia: quasi tutti i suoi personaggi, infatti, sono divorziati, e questo mi sembrava una mistificazione della realtà. Poi però, man mano che mi addentravo nel suo universo narrativo, ho capito vagamente che proprio in quella sorta di fissazione si manifesta l’autenticità di Carver. In Niente trucchi da quattro soldi ne ho trovato esplicita conferma. “Personalmente”, dice Carver in un passo del libro, “ho una serie de ossessioni a cui tento di dare voce: le relazioni fra uomini e donne, il motivo per cui spesso perdiamo le cose a cui teniamo di più, il cattivo uso delle nostre risorse interiori”.

E subito dopo aggiunge, in un lampo di positività: “Mi interessa molto anche la capacità di sopravvivenza, quello che la gente riesce a fare per risollevarsi quando è finita a terra”.

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