venerdì 5 settembre 2008

La giovinezza infranta di Cristina Campo

Il 25 settembre 1943 gli alleati bombardano Firenze. Anna Cavalletti, compagna di precoci fatiche letterarie e amica intima di Cristina Campo, muore.

Rifugiata a Fiesole, il 12 novembre Cristina scrive al padre, spesso assente per via della situazione politica, troppo incerta e pericolosa. "Lei ha vent'anni ed è appena stata a Firenze a visitare la casa saccheggiata nei mesi confusi seguiti alla caduta di Mussolini. La scrittura è quella che avrà per tutta la vita, rotonda e regolare. La fermezza dei propositi anche. Più che una lettera è una dichiarazione di poetica, un giuramento di fedeltà a se stessa" (Cristina De Stefano, Belinda e il mostro. Vita segreta di Cristina Campo, Adelphi, 2002).

Ecco la lettera, appena accorciata.

Papa carissimo, la mia calligrafia stessa dovrebbe apparirti diversa, stasera! Quando siamo entrate in casa ieri nel pomeriggio, M. ed io, ho avuto per un attimo la sensazione di naufragare nel nulla. Mi pareva superiore alle mie forze vivere ancora in una casa e in una stanza dove avevo tanto amato e creduto ed atteso, ora che non credo e non aspetto più nulla, ora che amo soltanto ciò che ho perduto. Se tu sapessi papà che cosa è passato in me in questi ultimi due mesi! Altro che saccheggio, che bombardamento! (...) Avevo deciso di
rinunciare, una volta per tutte (...). Avevo deciso di farmi spiritualmente “vieille fille” – e credo che lo fossi già un poco.

Ma iersera, trovando la tua lettera, tutto il sangue mi è affluito al cuore: sono certa che mi crederai se ti dico che mi sono inginocchiata e ho ringraziato il Signore (...). Adesso sento e vedo che tutto non è ancora perduto – che si può ancora sentirsi vivi e volere qualcosa. Papà non dubitare: scriverò, scriverò bene. Certo finora la giovinezza (...) lavorava per me, spingeva la mia mano sulla carta come il sangue nelle vene. E ora ho tanto sofferto che non so se potrò parlare distintamente agli altri: se rileggo i miei ultimi appunti mi sembrano così soli e chiusi! Però voglio tentare tutto, Papà caro; e vedrai che, a Dio piacendo, non ti deluderò. Ho tante cose da dire! Quasi direi da salvare: tutta la tragica bellezza di ciò che è passato in noi e vicino a noi – cose che io sola sento di aver visto e sentito fino alla sofferenza e che assolutamente non devono morire (...). Papà caro davvero non credi che i miei appunti siano inutili e pallidi?... Ora brucio dal desiderio di sapere da te (quando avrai il tempo e la bontà di indicarmeli) quei brani che ti sono sembrati ermetici (...). Voglio sapere di quali brani si tratta perché devo subito subito riparare a ciò, e mai più ricadervi. Anelo a conoscere i miei punti deboli e conoscerli attraverso te sarà tanto più bello ... Scriviamoci ancora, vuoi? Segretamente e senza mai parlarne, neppure fra noi. Bisogna trovarne il tempo. Che Dio ti benedica, mio caro.


1 commento:

Anonimo ha detto...

Ieri ho partecipato alla Messa celebrata dal Santo Padre a Cagliari nella scalinata della basilica di N.S di Bonaria, di cui ricorreva il centenario della proclamazione come Patrona Massima della Sardegna.
Accompagnavo dei disabili e ho quindi avuto la fortuna di poter stare molto vicino al palco dove era sistemato l'altare.
Stando con gli ammalati mi sono sentito uno di loro e così ho pensato di essere come quell'ammalato che sedeva nella porta detta "Bella" (ne parlano gli Atti al capitolo 3) e che chiese una semplice elemosina a Pietro che passava di là insieme a Giovanni per recarsi al tempio a pregare, ricevendone in cambio molto di più.
Di recente ho subito una forte privazione e quindi a buon diritto ho interpretato quel ruolo, chiedendo interiormente a Pietro, lì presente, di restituirmi "l'oro e l'argento" spirituale che sono andati perduti per diversi motivi.
Spero (in senso cristiano, ovviamente = sono certo) di ottenere quello e molto di più.
Luigi Murtas