La prima parola
Credo che non potrei mai scrivere sul foglio bianco la prima parola, se non la pensassi provvisoria: un’asta cui appoggiarsi per il salto, uno strumento del quale ci si serve per andare oltre e che in seguito verrà magari accantonato o sostituito. Se la scrittura, nel suo procedere, è ricerca di una legge, di una necessità che leghi le parti al tutto e le premesse alle conseguenze, l’inizio è invece casualità assoluta. Di qui la sensazione particolare che provo dinanzi al foglio bianco; so di dover commettere un arbitrio, inevitabilmente, e che proprio su questo arbitrio iniziale si fonderà poi l’intera architettura dell’opera. La prima frase, la prima pagina, costituisce la cellula germinale dalla quale si sviluppa tutto il resto, ma questa frase sarebbe stata forse diversa se l’avessi scritta ieri o domani, se il mio umore fosse stato differente. Dall’infinito campo del possibile bisogna passare alla realtà di ciò che è “nero su bianco”, con tutta la limitatezza e la contingenza implicita in un simile passaggio. Si può considerarla una caduta: dalla condizione edenica del non essere a quella dell’essere, così ambigua e problematica. Qui davvero la scrittura somiglia in maniera inquietante a un gioco d’azzardo, come il lancio dei dadi. Forse è la caratteristica comune a ogni principio, compreso quello della nostra vita, poiché in fondo anche la nascita è un lancio dei dadi, una prima parola tracciata sul foglio bianco. Paola Capriolo