A parte questo dato, nel romanzo fa impressione il contrasto tra la portata tragica del destino della Francia dopo l’invasione tedesca, nel 1940, e la meschinità della popolazione in fuga da Parigi.
I miei nonni hanno subito una esperienza simile durante la guerra di Spagna. Abitavano a Barbastro, una cittadina non lontana dai Pirenei. Nella primavera del 1938, quando Franco stava per prendere la città, sono partiti verso la Francia: lo scenario di strade piene di gente, chi a piedi, chi a dorso di mulo, chi di cavallo, era, per quanto poi mi ha raccontato mia madre (che lo sa per sentito dire: lei aveva due anni), molto simile a quello descritto dalla Némirovsky. Quella fuga è diventata particolarmente sofferta perché nella regione era rimasta isolata una divisione repubblicana che intendeva continuare con le ostilità e che le truppe di Franco hanno bombardato pesantemente (dagli appassionati di gesta militari —non è il mio caso—, l’episodio, una sorta di Termopili della mitologia repubblicana, è conosciuto come “la bolsa de Bielsa”). Mia nonna, credendo di abbandonare per sempre la Spagna, si lamentava di aver lasciato a Barbastro un armadio a specchio a cui era molto affezionata: non il massimo, insomma, come consapevolezza del momento storico... Poi però nella fuga hanno perso tutto, e finalmente dalla Francia hanno deciso di rientrare a Barbastro. La loro casa aveva subito molti danni, ma vi hanno ritrovato qualcosa che era rimasto incolume: proprio l’armadio a specchio.
Durante la fuga da Parigi, in Suite francese, muore Philippe, un sacerdote: uno dei pochi personaggi veri, a tre dimensioni, in questo romanzo con tante figure incompiute, soltanto abbozzate. Muore in modo violento, per mano dei ragazzi di un riformatorio che sta portando in salvo. È il loro capro espiatorio: la sua uccisione scongiura le loro inibizioni, li sblocca. René Girard, teorico del rapporto tra sacrificio e violenza, avrebbe qualcosa da dire.
Questa settimana, Roma ha conosciuto un altro capro espiatorio: come Philippe per i suoi ragazzi, come Irène Némirovsky e in genere “l’ebreo” per i nazisti, Benedetto XVI è stato il bersaglio di un piccolo gruppo di professori e studenti della Sapienza che lo hanno messo alla gogna e di fatto ieri gli hanno impedito di partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico, a cui era stato invitato. La protesta silenziosa degli studenti solidali con il Papa, simbolicamente imbavagliati durante l’atto di inaugurazione, mi è sembrata pertinente. In realtà la parte mediocre, squallida, dell’Italia è esigua. Peccato che la parte sana, vera, faccia tanta fatica a riciclarla... Infatti, emergenza rifiuti non c’è soltanto in Campania.
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