Marco Lodoli, poeta e insegnante —a Roma— in una scuola di periferia, quindi due volte poeta, scrive abitualmente su Repubblica. Questo pezzo però l’ho trovato, poche settimane fa, su Avvenire. Mi sembra un intervento prezioso su un argomento importantissimo, scritto con la passione dell’addetto e la lucidità del poeta.
Ripartiamo dalla scuola e dall’amore per il vero sapere
La scuola è un mondo privo di malizie, che non sa in alcun modo nascondere le sue difficoltà: i giovani sono giovani, dunque sinceri come sempre, e le loro difficoltà esistenziali sono qui davanti agli occhi di tutti; i professori sono professori, dunque persone abituate a considerare la cultura il massimo dei beni, e il loro spaesamento di fronte alla nuova scala di valori della nostra società è altrettanto palese. Questo non è certo un momento facile, la scuola in fondo è l’avanguardia del Paese, il suo presente proteso verso il suo imminente futuro, e soffre per una doppia pressione: da un lato scricchiola sotto la tonnellata di nulla infetto, di vanità e narcisismo, di consumismo e faciloneria che grava sulla sua struttura antica, sulle convinzioni di chi ancora è convinto che la vita è dura e va affrontata da subito con impegno, concentrazione, sacrificio. Dall’altro patisce la richiesta di efficienza assoluta, di risultati immediati e misurabili: il modello anglosassone, fatto di test e percentuali, programmazioni rigide e verifiche inoppugnabili, quel modello che punta a creare in fretta una professionalità da spendere subito sul mercato del lavoro sta prendendo inesorabilmente piede e non tutti gli insegnanti sono disposti ad accoglierlo.
Da un lato lo sbraco sottoculturale che investe tanti ragazzi, alla mercé delle sirene televisive, di una finta spensieratezza, di desideri pompati a oltranza; dall’altro un rigore assoluto che vorrebbe produrre rotelle da inserire in fretta negli ingranaggi del sistema produttivo. E così i professori sbandano e si deprimono perché non sanno più qual è il loro posto e il loro ruolo in un mondo che esalta solo il successo e il denaro, le facce rifatte dei vip e quelle gelide dei manager. L’unica soluzione è continuare ad avere fiducia nella letteratura, nella filosofia, nella matematica, nella scienza, entrare in classe e continuare a leggere i poeti e a spiegare i numeri alla lavagna. Continuare ad ascoltare i ragazzi, come sempre, più di sempre, perché oggi i ragazzi si sentono frastornati dal luna park che ruota attorno a loro e spaventati da un mondo che là fuori li aspetta solo per farli sentire più precari che mai, per succhiare il loro sangue. L’isola dei famosi e lo spettro dell’esclusione sociale, il benessere promesso e la miseria minacciata, il nuovo telefonino e nessuno che ti chiama per un lavoro sicuro.
A volte ci si sente inadatti, piccoli, brutti e inutili. A volte però ci si sente quasi degli eroi, soli a difendere il senso della dignità umana e del sapere in un mondo che pare atrocemente disinteressato.
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