sabato 15 ottobre 2011

L'ultima di Canin

Nel 2008, pochi mesi prima della morte di Ted Kennedy, Ethan Canin ha pubblicato America America, un romanzo che racconta la storia di un senatore, Henry Bonwiller, scolpito sul modello del senatore Ted Kennedy; e anche la storia di una famiglia, i Metarey, costruita a immagine della stessa famiglia Kennedy, con tanto di ricchezza, militanza democratica e infortuni aerei.

Il romanzo non è quell’apice nella carriera di Canin promesso dai titoli di coda promozionali, almeno nella versione italiana (Ponte alle Grazie, 2011). Eppure ho deciso di parlarne qui, perché comunque mentre lo leggevo non sono mancati i momenti di godimento.

Tra i personaggi secondari c’è Clara Metarey, una ragazza che ne combina di tutti i colori. È stata forse soprattutto lei a fare della mia lettura di America America una esperienza stimolante. Ma è piuttosto una eccezione. Infatti secondo me il romanzo racconta una storia bella, solida, ma i personaggi difettano: li trovo un tantino mancanti di personalità, stereotipati. Con qualche eccezione, come appunto Clara.

C’è poi un altro aspetto che mi sembra censurabile in America America: l’intreccio direi troppo irriverente tra l’invenzione e la storia reale.

“I fatti storici non esistono in se stessi”, sosteneva Raymond Aron, “esistono soltanto nelle coscienze e cambiano con queste”. Almeno in parte (soltanto in parte), ciò è vero, e una delle conseguenze è che chi scrive un romanzo può inserire la vicenda che racconta in una realtà “vera”, riconosciuta dalle coscienze come “fatto storico”: può inventare un personaggio, per esempio, che si arruola nell’esercito francese e combatte in Waterloo.

C’è però una cosa che non può fare, mi sembra, o almeno non dovrebbe: nella storia di quel soldato, i francesi non possono vincere la battaglia di Waterloo. E questo succede con America America: il senatore Henry Bonwiller, personaggio inventato, si candida alle elezioni presidenziali del 1972 (quelle cioè a cui Ted Kennedy non si è presentato), e prima di vedersi tagliata la strada per una vicenda tragica (un avatar letterario del celebre incidente di Chappaquiddick), vince alcune primarie, come quelle del New Hampshire, in gara con altri candidati democratici che sono personaggi reali: Mc Govern, Muskie, Wallace…

Allora, è ovvio che nel 1972 le primarie democratiche del New Hampshire non sono state vinte da Bonwiller. Oggi con Wikipedia è molto facile informarsi su chi le ha vinte (Edmund Muskie). Si tratta “soltanto” di un fatto storico, d’accordo, ma almeno io spontaneamente mi resisto a concedere che quelle elezioni possano diventare qualcosa di radicalmente diverso —fino a farne del vincitore lo sconfitto— per via di un cambiamento nella nostra coscienza della storia.

In realtà, il nocciolo della questione non è nella filosofia della storia di Aron, ma piuttosto nel senso che ha oggi quella teoria della comunicazione poetica come “volontaria sospensione dell’incredulità” formulata da Coleridge. Oggi io posso sospendere la mia incredulità nei confronti di un personaggio non reale come Bonwiller, ma a patto che Bonwiller sia, oltre a non troppo inverosimile, rispettoso delle mie prosaiche, giornalistiche certezze informative.

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