domenica 15 maggio 2011

Chesterton e l'arte della vita domestica

Vede la luce finalmente in italiano, dalle edizioni Lindau, Ciò che non va nel mondo, di Chesterton, libro scintillante che, sul filo della polemica con il pensiero dominante al tempo della sua stesura (1910), apre potenti squarci di luce al di sopra della controversia spicciola. Peccato che su alcuni temi contingenti si incagli talvolta in criteri e valutazioni che la storia ha poi sepolto definitivamente.

Oggi è irricevibile, per esempio, la sua opposizione al suffragio femminile. E pochi accetteranno che esistano realmente, come sostiene Chesterton, certe “suddivisioni naturali del lavoro” (la donna in casa, l’uomo fuori) da rispettare assolutamente se si vuole preservare l’istituzione familiare. Ma non è facile dargli torto quando, portato più dall’ammirazione che dall’insensibilità, afferma che esonerare la donna dalle responsabilità domestiche comporterebbe un impoverimento per l’umanità. “Non sprecherò la mia intelligenza”, scrive, “cercando di inventare mezzi per far disimparare al genere umano come si suona il violino o come si sta in sella a un cavallo, e l’arte della vita domestica mi sembra speciale e preziosa quanto tutte le antiche arti della nostra razza”.

Sia chiaro, Chesterton non è un reazionario. Più critico con i tories che con i laburisti, parla spesso con simpatia della rivoluzione francese, che sarebbe stata, secondo lui, un sogno non fallito ma soltanto non realizzato. Come il cristianesimo, dice, che la gente abbandona per nuovi ideali senza in realtà averlo conosciuto o provato.

Il titolo del libro prende spunto dalla constatazione di questa fuga dalla ricerca del vero. Ciò che non va nel mondo, leggiamo nelle pagine iniziali, ciò che è sbagliato, è che non ci domandiamo che cosa sia giusto. E che cosa sia giusto lo rivela Chesterton alla fine, in implicita allusione alla bellezza che salva il mondo (Dostoevskij), prendendo come pietra di paragone eterna e universale una delle tante cose sacrificate sugli altari moderni (l’altare del femminismo, del pedagogismo, dell’imperialismo...): i capelli di una bambina, che l’igiene ufficiale taglia per via dei pidocchi, contro l’orgoglio naturale delle buone madri per la bellezza delle figlie.

È da qui che parte la battaglia di Chesterton. “Poiché una fanciulla dovrebbe avere lunghi capelli, dovrebbe avere capelli puliti; poiché dovrebbe avere capelli puliti, non dovrebbe vivere in una casa sporca; poiché non dovrebbe avere una casa sporca, dovrebbe avere una madre libera e con molto tempo a disposizione; poiché dovrebbe avere una madre libera, non dovrebbe avere un padrone di casa strozzino; poiché non dovrebbe avere un padrone strozzino, dovrebbe esserci una ridistribuzione della proprietà e poiché dovrebbe essere una ridistribuzione della proprietà, ci dovrà essere una rivoluzione”.

Sì, alla fine arriviamo alla rivoluzione. Chesterton parla, naturalmente, della rivoluzione distributista, dal nome di quella dottrina, da lui sostenuta, mirante alla distribuzione della proprietà nel modo più ampio possibile fra la popolazione. Perché solo l’uomo con casa propria, dice Chesterton, può realizzarsi veramente come uomo. E sono parole che mostrano che quell’arte della vita domestica da lui glorificata è molto di più di una trovata zuccherosa.

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