venerdì 16 aprile 2010

Destinazione Auschwitz

Francesco Salvarani, sacerdote ultraottantenne, ha pubblicato il suo primo libro: Edith Stein (Ares, 2009). Tanto per cominciare, complimenti all’autore per questa opera prima. E prendo atto che non è mai tardi per esordire.

Complimenti perché, pur essendo chiaro che Salvarani non è un biografo navigato, il libro è ben documentato e di lettura piacevole, addirittura eccitante.

Fa impressione, per esempio, il momento dell’arresto. “Suor Stein deve uscire adesso. Può cambiarsi l’abito o uscire così com’è. Le dia una coperta, un bicchiere, un cucchiaio e cibarie per tre giorni”: queste le spiegazioni date dall’ufficiale della Gestapo alla priora del Carmelo di Echt (Olanda). Qui la Stein era giunta, da Colonia, nel 1938. La priora riesce soltanto ad allungare da cinque a dieci minuti il tempo concesso a Edith e alla sorella Rose per uscire. È il 2 agosto 1942. Il 9, appena arrivate ad Auschwitz, sono mandate alla camera a gas.

Un’altra impressione forte: la piena dell’angoscia nella primavera della vita. Brillante studentessa a Gottinga, Edith riesce ad accedere, appena ventenne, all’olimpo della fenomenologia, a diretto contatto con Husserl. Eppure in quegli anni, tra il 1913 e il 1914, subisce una crisi esistenziale che la porta a pensare al suicidio come una possibilità molto concreta.

Da questa situazione di buio la tirerà fuori l’impegno come crocerossina durante la grande guerra, un impegno a cui si è votata con una dedizione che ha sorpreso a lei stessa. La conversione al cattolicesimo avverrà parecchi anni dopo, nel 1922.

Sono stato una volta a Münster e mi hanno fatto vedere, nella chiesa di San Ludgerus, un grande crocifisso che i bombardamenti del 1944 hanno lasciato senza braccia. “Non ho altre mani che le vostre”, è scritto adesso sopra quel crocifisso mutilato. Fu pregando davanti a quella croce che Edith decise di farsi suora, nel 1933. Salvarani parla, a questo punto, di San Ludgerus, ma non del crocifisso, anche se sottolinea che nel nome di religione da lei scelto, Teresa Benedetta della Croce, in latino “Theresia Benedicta a Cruce”, c’era la consapevolezza di essere stata “benedetta dalla croce”.

Pochi giorni prima, sempre nel 1933, si era rivolta a Pio XI per chiedergli una netta condanna del nazismo. La lettera, custodita nell’archivio segreto vaticano, è stata resa nota soltanto nel 2003. “Solo nel mio àmbito privato sono venuta a conoscenza di ben cinque casi di suicidio a causa di persecuzione”, scrive la Stein, ricordando senz’altro la sua terribile angoscia giovanile. Il Papa scriverà quattro anni dopo l’enciclica Mit brennender Sorge.

Ma non saranno le condanne della Chiesa a salvare gli ebrei. Anzi, in Olanda i cattolici di origine ebraica, come appunto la Stein, sono stati presi di mira dopo che i vescovi hanno denunciato le deportazioni di ebrei non battezzati, che i nazisti volevano restassero nascoste.

Flannery O’Connor riteneva Simone Weil e Edith Stein le due donne più interessanti del Ventesimo secolo. Simone è stata invitata più volte in questo libro-forum. Era giusto, mi sembra, aprirne le porte anche a Edith.

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