domenica 13 settembre 2009

Jack London scrive su se stesso

Martin Eden, di Jack London (1876-1916), è forse uno dei romanzi cha ha segnato più profondamente la letteratura americana contemporanea. Pubblicato nel settembre 1909, compie adesso cent’anni.

London era appena tornato in California dopo due anni di assenza: il primo, in viaggio per i mari del Sud con lo Snark, una grande barca a vela che si era fatto costruire e con cui intendeva fare il giro del mondo accompagnato dalla moglie e da un ridotto equipaggio; il secondo, recuperando le forze in Australia, dopo un fallimento clamoroso del progetto all’altezza delle isole Salomon.

Ma London sapeva far fruttare letterariamente i suoi fallimenti. Dieci anni prima, il drammatico insuccesso della sua incursione nello Yukon, durante la febbre dell’oro, lo aveva formato come scrittore in quel filone epico naturistico da cui subito sarebbe emerso Il richiamo della foresta (1903). Adesso il disastroso viaggio sullo Snark gli era servito per scrivere in alto mare un altro capolavoro.

Martin Eden, di cui Mondadori ha appena sfornato una nuova edizione italiana, è un romanzo in larga misura autobiografico in cui l’autore regola i conti con un certo mondo: proprio con quella cerchia borghese che, bene o male, gli aveva facilitato (a lui, il ragazzo povero) l’accesso all’olimpo della cultura. Questo, per la verità, è l’aspetto meno nobile del libro. Il personaggio di Ruth Morse, per esempio, una ragazza volubile e sentimentale, è un ritratto caricaturale di Mabel Appelgarth, la prima fidanzata di London, gravemente affetta da tubercolosi ai tempi dell’apparizione del romanzo.

Chi è Martin Eden? È Jack London, naturalmente: il singolo che si fa da sé, solo contro tutti, edenico nella sua asocialità (il nome Martin Eden non fu scelto a caso) e, al contempo, nietzschianamente oltreumano. In questo senso, Martin Eden (ma anche, più a monte, lo stesso Jack London, con la sua vita) è una sorta di prototipo di quella specie di uomo off limits, aldilà del bene e del male, debellatore degli déi, tipico dei nostri giorni.

Certo, Jack London non era credente. “Occupation: Sailor. Religion: Atheist”. Sono dati della sua scheda di ingresso in una prigione dello stato di New York, dove una volta era stato arrestato per vagabondaggio.

Forte, questo London! Devo dire che a me gli atei non sono antipatici. Anzi, li preferisco agli agnostici, perché secondo me su certe cose non si può essere indecisi. Uno può lasciare in sospeso il proprio giudizio sulle corridas di tori o sul cinema di Ridley Scott, e impostare la propria vita a prescindere da un preciso criterio su tali materie; ma non mi sembra onesto vivere senza pronunciarsi pro o contro l’esistenza di Dio, perché il fatto che Dio esista o non esista cambia tutto.

London è onesto, ecco, almeno in questo senso. Anche perciò, lui come me dovrebbe ammettere, pascalianamente, che comunque Dio non cessa di esistere per il fatto che qualcuno non creda in lui.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

London es uno de mis novelistas preferidos. Me gustaría que escribieras más sobre este autor.

Alfonso M.

ALF ha detto...

Ok, Alfonso M. Algún día volveré sobre el tema. Gracias por el estímulo. ALF.