Nel secolo XX,
due testi teatrali di grande fortuna hanno reso omaggio alla sua figura: Assassinio nella cattedrale, di Eliot, e
Becket
o l’onore di Dio, di Jean Anouilh. Il film Becket, un capolavoro degli anni sessanta, con Peter O’Toole e
Richard Burton, è un adattamento cinematografico dell’opera di Anouilh.
Libertino in
gioventù e oracolo della giustizia divina nell’età adulta, il Becket di Anouilh
non coincide esattamente con il Becket reale, il quale, pur rimanendo sempre
sostanzialmente fedele ai suoi impegni clericali, nel corso della vita ha
commesso grossi errori, sia morali che politici. È vero però che a un certo
punto, quando è diventato arcivescovo, c’è stata in lui una singolare presa di
coscienza del suo ruolo, e con ciò una radicale scelta di campo per “l’onore di
Dio”. Infatti la storia del suo rapporto con il re Enrico II è una sorta di
anteprima della vicenda che quattro secoli dopo vedrà protagonisti gli omonimi Tommaso
Moro ed Enrico VIII.
“Il re è la legge
scritta, ma c’è un’altra legge, non scritta, che finisce sempre per far chinare
il capo del re”, fa dire Anouilh a Becket. Non a caso Anouilh è anche autore di
una versione di Antigone.
Ma quanti credono
oggi a questa legge non scritta? Quanti credono a una verità morale eterna e
universale, che non cambia anche se si allargano o si restringono le maglie del
codice penale, anche se vengono depenalizzati il falso in bilancio o
l’interruzione della gravidanza, l’evasione fiscale o la pedofilia?
Enrico II ha
chinato il capo, d’accordo: dopo l’assassinio di Becket si è ravveduto e ha
fatto penitenza pubblica. Dicono che il secolo XII è stato, più che qualsiasi
altro del Medioevo o dell’Età Moderna, il secolo della fede, e ciò
probabilmente fa la differenza tra Enrico II e i vari “re” di oggi, compreso
quel piccolo re eretto a modello di vita pratica che è l’uomo autonomo e
individualista delle società secolarizzate.
“Il secolo XXI sarà religioso o non sarà”, disse a suo tempo Malraux, ma non so se le cose stiano andando per quel verso. Comunque la verità di Anouilh, cioè quella verità nobilitante di Becket e del suo sacrificio nell’altare dell’onore di Dio e della legge non scritta, non perciò è meno vera.