domenica 15 aprile 2012

Chiamatemi Amore

“Chiamatemi Ismaele”: con queste lapidarie, geniali parole inizia Moby Dick. Qualche volta ho pensato che l’incipit della Bibbia potrebbe essere benissimo “Chiamatemi Amore”. Il messaggio è tutto lì: infatti san Giovanni scrive, in estrema sintesi, che “Dio è Amore”.

Amare, opera di vecchiaia di David Maria Turoldo che prende le mosse proprio da queste certezze e da questo clima biblico, è un libro che ho deciso di leggere nonostante la mia avversione per i titoli verbali (To Kill a Mockingbird, Reinar después de morir…: non mi piacciono, come titoli). Di Padre Turoldo (1916-1992) avevo letto in precedenza alcune poesie che mi erano sembrate belle e pungenti, e sicuramente è stato ciò a farmi superare l’ostacolo del titolo. Ho letto quindi Amare (San Paolo, 2002), che però mi ha deluso. L’ho trovato una poltiglia mal riuscita di poesia e prosa, religione e filosofia, denuncia e buonismo, il tutto non sempre coerente.

Alcune frasi sono di una ingenuità che mi lascia perplesso: “ecco Giovanni a dire che Dio è amore. Soltanto amore. Così sarà inevitabile la domanda: cosa sia l’amore. D’allora la risposta sarà altrettanto inevitabile: l’amore è Dio”. Ma a nessuno sfugge quanto diverse siano le cose che noi uomini chiamiamo amore. Sarebbe il caso di rammentare a Turoldo le parole di sant’Agostino sui due amori che fondano le famose due città: l’amore di Dio e l’amore di sé. Per non dire dei tanti maschi che, presi dall’amore per una donna di vent’anni più giovane, hanno abbandonato moglie e figli. Molto romantico, se vogliamo, ma poco serio. Insomma, secondo me, pur credendo che Dio è Amore, non si può dire che l’ amore tout court sia Dio.

Accanto a queste cadute di tono, comunque, non mancano, in Amare, alcune idee semplici e luminose, espresse sia in prosa che in poesia. Ecco, per esempio, una bella descrizione della condizione sacerdotale dell’autore:

Tu non sai cosa sia il silenzio
né la gioia dell’usignolo
che canta, da solo nella notte;
quanto beata è la gratuità,
il non appartenersi
ed essere solo
ed essere di tutti
e nessuno lo sa o ti crede.

Ed ecco, in una massima di poche parole, la descrizione del matrimonio secondo Turoldo: “Non già: Ti amo, perciò sono fedele, ma: Sono fedele, perciò ti amo”. La frase ha un senso ovvio, per me: i due termini di una relazione non sono sempre interscambiabili (per cui la proposizione “Dio è amore”  non è per forza equivalente a “l’amore è Dio”). C’è anche, certamente, un senso morale: sono le opere (la fedeltà) a sostenere le parole (le dichiarazioni d’amore), e non il contrario. Infine io ci trovo pure un senso mistico, visto che “fedele” proviene da fides, “fede”: per amare bisogna crederci.

Ma per chiudere il cerchio (fede, amore… e, naturalmente, speranza) io aggiungerei, pensando ad alcuni amici e amiche che purtroppo si sono separati o si stanno separando, che bisogna anche sperare.

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