Oyó el motor y se giró hacia la izquierda: el autobús salió de detrás de la curva, con él al volante.
Lo vio, con camisa y corbata azules, justo antes de que él la viera. Él la vio, y sólo entonces se acordó: se llevó la mano a la frente y dijo “¡Ahí va!”.
La señora del impermeable se volvió hacia él. “¿Qué pasa, ya hemos pasado el cruce?”, le preguntó. Él la miró. Ya se le había olvidado cuándo tenía que avisar a aquella señora. “Eh..., perdone, ¿dónde me ha dicho que quiere bajarse?”. Ella buscó en el bolso el plano que le había dado su hija, pero antes de encontrarlo le sonó el móvil: era su yerno.
“¿Dónde estás?”, dijeron los dos a la vez. “Son las tres y veinte”, dijo él. Ella miró el reloj. “Perdona, son y cuarto, y en cinco minutos estoy ahí, pero dime dónde estás”. “Estoy esperándote”, le respondió él, de nuevo elusivamente. “Hasta ahora”, dijo ella.
Él colgó y llamó a su mujer. “¿Qué me dices?”, preguntó ella. “Nada, que igual tu madre aparece en casa directamente. Si eso, llámame, para no estar aquí todo el día esperándola”.
Ella se quedó intranquila: estaba segura de que su madre era incapaz de llegar a casa sola. “De acuerdo”, respondió.
“¿Qué pasa?”, le preguntó su hijo, viéndola seria. Ella sonrió. “Pues que papá está esperando a la yaya y la yaya no llega: sólo eso”. “¡La yaya!”, dijo él, “¡es verdad!”. Y salió corriendo a la cocina.
“Tata”, le dijo a la asistenta, “acuérdate que hoy viene la yaya”. La asistenta siguió en el fregadero, de espaldas a él. “Sí, guapo”, se limitó a decirle, pero por la garganta se le escapó un sollozo. Se hizo un breve silencio. “¿Estás llorando?”, preguntó él. “No, no estoy llorando...”, respondió ella, entre convulsiones, “¿cuándo has visto que una persona mayor llore...? Anda..., déjame que termine de ordenar esto y luego te enseño un cuento”.
Esperó a que él saliera y se secó las lágrimas con un pañuelo. Luego volvió a tomar el móvil, que yacía, mudo pero iluminado, sobre el mármol, y reanudó la conversación con su novio: “¿Oye?..., ¿me oyes?..., por favor, anda... ¡Cariño, por favor...!”.
El ex-novio no dijo nada: dejó sonar por última vez en sus oídos, durante unos segundos, aquella voz familiar, pero finalmente pulsó la tecla roja del aparato sin haber pronunciado palabra. “Ya está, se acabó”, dijo mirando a su profesora de inglés, que acto seguido le rodeó delicadamente el cuello con los brazos y le besó en la mejilla.
“Ahora vete”, le dijo ella, y él se marchó. Ella permaneció en la parada, en espera del autobús y de su padre. No las tenía todas consigo: temía que su padre se hubiera olvidado de comprarle el líquido para las lentillas.
Oyó el motor y se giró hacia la izquierda: el autobús salió de detrás de la curva, con él al volante.
domenica 26 settembre 2010
domenica 12 settembre 2010
Storie dell'Etiopia
Hailè Selassiè, imperatore dell’Etiopia (1892-1975), è un personaggio singolare e tragicomico: un misto di Caligola e Luigi XIV che un errore della storia ha collocato nel Novecento. A lui ha dedicato Ryszard Kapuscinski uno dei suoi libri, Il Negus (1978), che ho letto in questi giorni nell’edizione tascabile distribuita da Feltrinelli nel 2003.
Kapuscinski, per raccontare la storia del negus, fa parlare anonimamente gli uomini della sua corte dopo la caduta sua e loro: uomini che a quanto sembra è riuscito a intervistare personalmente. I discorsi di questi signori spesso non sono né credibili né concludenti, per cui il metodo funziona relativamente. Comunque, il montaggio dei vari spezzoni è tutto sommato agile, grazie anche a contributi strategici dell’autore stesso, che ogni tanto esplicita direttamente il filo della storia. Questi racconti in prima persona, per distinguerli dagli altri, Kapuscinski li fa stampare in corsivo.
Siamo alla battute finali del regime di Hailè Selassiè (1974), e a proposito dei militari che assediavano allora il palazzo del negus, leggo in corsivo (cioè dichiara Kapuscinski): “ciò che li spingeva alla lotta non era la povertà (mai sperimentata di persona), ma un senso di vergogna e di responsabilità morale”. “Uomini estremamente coraggiosi”, li chiama anche, in un altro passaggio, il reporter polacco. Sorprendente: Kapuscinski ovviamente sapeva, quando scriveva queste parole, che il primo uomo forte dopo la caduta del negus, il generale Michael Aman Andom, era stato giustiziato nel giro di pochi giorni, e che la stessa fine aveva fatto il secondo, Teferi Benti, nel 1977, e con loro molte altre persone.
Di questi uomini, vittime delle lotte per il potere in seno a quella cerchia di militari “estremamente coraggiosi” e di spiccata “responsabilità morale”, non parlano né Kapuscinski né i cortigiani del negus. Dei ribelli, l’unico volto che compare —fugacemente, ma senza alcuna ombra di critica— è quello del terzo uomo forte, cioè di colui che si è imposto sui cadaveri dei suoi due predecessori, Menghistu Haile Mariam. Non so cosa pensare, perché mi mancano dati, ma questa volta non me la sento di parlare bene di Kapuscinski.
So che con Menghistu l’Etiopia è rimasta il fanalino di coda nella graduatoria internazionale della ricchezza; so che la fame ha continuato a mietere vittime in numeri tremendi; so che il conflitto eritreo, che Aman voleva risolvere in modo pacifico, si è saldato con la secessione dell’antica provincia imperiale dopo una guerra sanguinosa... Nel 1991, una nuova ribellione ha cacciato Menghistu. Poi, chissà ché cosa sarà successo.
Ma consentitemi di dare spazio ad un’altra storia dell’Etiopia, per finire in modo non troppo pessimistico. Una volta ho incontrato un religioso etiopico, superiore di un seminario con più di cento alunni nel nord del paese e promotore di un’opera assistenziale ed educativa di grande portata. Per il suo aspetto escatologico e per la sua fede rocciosa, mi ha fatto una impressione molto forte. Stava per tornare in Etiopia, dopo alcuni giorni in Europa... Poi, chissà ché cosa sarà successo.
Kapuscinski, per raccontare la storia del negus, fa parlare anonimamente gli uomini della sua corte dopo la caduta sua e loro: uomini che a quanto sembra è riuscito a intervistare personalmente. I discorsi di questi signori spesso non sono né credibili né concludenti, per cui il metodo funziona relativamente. Comunque, il montaggio dei vari spezzoni è tutto sommato agile, grazie anche a contributi strategici dell’autore stesso, che ogni tanto esplicita direttamente il filo della storia. Questi racconti in prima persona, per distinguerli dagli altri, Kapuscinski li fa stampare in corsivo.
Siamo alla battute finali del regime di Hailè Selassiè (1974), e a proposito dei militari che assediavano allora il palazzo del negus, leggo in corsivo (cioè dichiara Kapuscinski): “ciò che li spingeva alla lotta non era la povertà (mai sperimentata di persona), ma un senso di vergogna e di responsabilità morale”. “Uomini estremamente coraggiosi”, li chiama anche, in un altro passaggio, il reporter polacco. Sorprendente: Kapuscinski ovviamente sapeva, quando scriveva queste parole, che il primo uomo forte dopo la caduta del negus, il generale Michael Aman Andom, era stato giustiziato nel giro di pochi giorni, e che la stessa fine aveva fatto il secondo, Teferi Benti, nel 1977, e con loro molte altre persone.
Di questi uomini, vittime delle lotte per il potere in seno a quella cerchia di militari “estremamente coraggiosi” e di spiccata “responsabilità morale”, non parlano né Kapuscinski né i cortigiani del negus. Dei ribelli, l’unico volto che compare —fugacemente, ma senza alcuna ombra di critica— è quello del terzo uomo forte, cioè di colui che si è imposto sui cadaveri dei suoi due predecessori, Menghistu Haile Mariam. Non so cosa pensare, perché mi mancano dati, ma questa volta non me la sento di parlare bene di Kapuscinski.
So che con Menghistu l’Etiopia è rimasta il fanalino di coda nella graduatoria internazionale della ricchezza; so che la fame ha continuato a mietere vittime in numeri tremendi; so che il conflitto eritreo, che Aman voleva risolvere in modo pacifico, si è saldato con la secessione dell’antica provincia imperiale dopo una guerra sanguinosa... Nel 1991, una nuova ribellione ha cacciato Menghistu. Poi, chissà ché cosa sarà successo.
Ma consentitemi di dare spazio ad un’altra storia dell’Etiopia, per finire in modo non troppo pessimistico. Una volta ho incontrato un religioso etiopico, superiore di un seminario con più di cento alunni nel nord del paese e promotore di un’opera assistenziale ed educativa di grande portata. Per il suo aspetto escatologico e per la sua fede rocciosa, mi ha fatto una impressione molto forte. Stava per tornare in Etiopia, dopo alcuni giorni in Europa... Poi, chissà ché cosa sarà successo.
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