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venerdì 17 maggio 2013

Anonimo ortodosso

La storia del libro sarebbe già da sé un racconto. Racconti di un pellegrino russo è un libro anonimo, tanto per cominciare; ma non di un’epoca troppo remota: è un libro scritto nell’Ottocento. A quanto pare, l’autore è stato veramente un pellegrino russo: un viandante votato alla preghiera che a un certo punto, per ordine del suo direttore spirituale, ha messo per scritto le esperienze che ha vissuto, le storie sentite a persone che ha incontrato e, soprattutto, le cose che ha imparato sulla preghiera.

Questo pellegrino, lo dico subito, si trova vari gradini al di sopra di me nella scala dello spirito. Il libro comunque —anzi, direi che proprio perciò— è di lettura consigliabilissima. Fa parte di una serie di testi mistici che la casa editrice Rusconi ha pubblicato negli anni settanta, quando un personaggio irripetibile, Alfredo Cattabiani (1937-2003), ha preso le redini della sezione libri. Con lui collaborò quella strana coppia formata da Elémire Zolla (1926-2002) e Cristina Campo (1923-1977). Infatti Racconti di un pellegrino russo ha una introduzione veramente coinvolgente di Cristina Campo.

Cattabiani, pur essendo un cattolico di ferro, si interessava alla mistica non solo cristiana in senso ampio, cattolica e non cattolica, ma anche non cristiana: hassidica, sufìca, tibetana… Veramente tutte hanno qualcosa in comune, e non a caso Salinger, in un romanzo, associa narrativamente Racconti di un pellegrino russo con la mistica orientale. Comunque sia, la mistica era roba che troppe persone a quei tempi ritenevano eccentrica e sospetta. Sarà stata colpa della “sinistra neoilluminista”, come diceva Cattabiani, che era di destra, oppure sarà stata colpa di altro, ma di fatto nel 1979 l’editore Edilio Rusconi ha scaricato Cattabiani, l’uomo che di quel gruppo editoriale dedito prevalentemente ai rotocalchi aveva fatto un prestigioso foco di cultura. A parte scelte commercialmente azzeccate come Tolkien (o come appunto Racconti di un pellegrino russo, che ha avuto numerose ristampe nel corso degli anni), a Cattabiani si deve, soprattutto, un prezioso filone di libri che scavano nei miti, con autori che poi sono passati di peso nel catalogo di Adelphi: Guénon, la stessa Campo...

Il pellegrino russo mi risulta molto distante: lui è ortodosso e io invece sono cattolico; lui è un mistico, io un povero scettico che crede in poche cose. Ma mi piacerebbe trovare uomini come lui lungo la strada della mia vita. Purtroppo non ce ne sono più.

venerdì 14 dicembre 2007

Le lettere di Cristina Campo a Leone Traverso

Poetessa, traduttrice e saggista, Vittoria Guerrini, più conosciuta come Cristina Campo (1923-1977), ha avuto in vita un apprezzamento quasi nullo. Oggi invece va di moda: è oggetto di convegni, saggi, biografie... Molte persone hanno contribuito, con il loro lavoro, a portarla sotto i riflettori, ma vanno menzionate soprattutto due: l’amica Margherita Pieracci Harwell e l’editore Roberto Calasso.
Margherita Harwell (Mita), già docente di letteratura negli Stati Uniti, è un’esegeta acuta, suggestiva e ben informata. A lei si deve il ricco apparato critico di cui sono corredati due libri imprescindibili per avvicinarsi alla Campo: Gli imperdonabili (1987), che comprende quasi tutta la sua opera saggistica, e Lettere a Mita (1999).
Da pochi mesi è nelle librerie Caro Bul (Adelphi, 2007), quinto epistolario pubblicato di Cristina Campo, di nuovo con Margherita Harwell come curatrice.
“Bul” è il nomignolo creato dalla Campo per Leone Traverso (1910-1968), una delle principali figure dell’ermetismo poetico fiorentino, con Mario Luzi e Carlo Bo. Tredici anni più grande di lei, è il suo mentore letterario fino a metà degli anni cinquanta, quando tutti e due abbandonano Firenze: lui verso Urbino, lei verso Roma. Il rapporto, che da didattico era diventato, nel frattempo, sentimentale, subisce poco dopo una battuta d’arresto ed entra in una fase meno intensa in cui rimangono, comunque, l’amicizia e la reciproca ammirazione.
Le lettere a Leone Traverso forniscono interessanti informazioni sull’habitat letterario di Cristina Campo. Per me è stata una sorpresa, per esempio, una lettera del 1962 in cui si lamenta di non poter recensire, per esigenze delle riviste a cui collabora, i libri degli “addirittura sublimi poeti catalani” usciti nell’anno.
Soprattutto, le lettere della Campo sono un modello di comunicazione psicologica, da anima a anima, in profondità. Una comunicazione fatta di parole, ma anche di silenzi, di impliciti, di un pudore che, anche per chi ignora il succo dei fatti taciuti, diventa più eloquente che il discorso grossolanamente esplicito: “Perché non dirmi che partivi? Ti avrei augurato buon viaggio; in più ti avrei dimostrato (col solo dirti «Pronto») che avevo capito, ripensandoci, le tue parole di iersera. Non scrivermi, Bul. Non è necessario. Sii sereno” (Firenze, 19-IV-1953).
Per Cristina Campo, la corrispondenza epistolare diventa ciò che per altri autori è il diario: lo specchio dell’interiorità e il primo campo di battaglia della scrittura. Il vantaggio è che dall’interazione diretta con le persone care a cui dà luogo la corrispondenza risulta un messaggio molto più nitido, molto più precisato di quello che di solito si può riflettere nell’autoreferenzialità di un diario.

venerdì 19 ottobre 2007

Atención a Cristina Campo

La poeta y ensayista Cristina Campo (1923-1977) es conocida sobre todo por Gli imperdonabili, la primera recopilación de su obra en prosa. Publicado en 1987, diez años después de su muerte, Gli imperdonabili fue muy pronto traducido al francés y al alemán. Era desconocido hasta ahora, sin embargo, para el lector español. Subsana en parte esa carencia el volumen La nuez de oro y otros ensayos (Selecciones de Amadeo Mandarino, 2006), que reúne cinco textos de la escritora italiana: concretamente, cinco ensayos que la revista argentina Sur publicó en castellano en los años sesenta.
Los temas de Cristina Campo son muchos, pero a la vez es uno solo, aunque su pluma suelta y sugerente lo descomponga en infinitas facetas. Su tema es la poesía como lectura del mundo, el rostro como espejo del destino, la liturgia como epifanía del misterio... Su tema, encarado por distintas vertientes, es la forma como condición del contenido: en una palabra, su tema es la belleza, esa belleza sustantiva de la que Dostoievski afirmaba —con frase que a Cristina Campo le gustaba repetir— que salvará la tierra.
Entre los ensayos recogidos en este libro se encuentra, por ejemplo, “Atención y poesía”, brillante declaración de principios de una poética rehumanizada. En su día fue traducido por María Zambrano, amiga de la autora.
Admiradora de Simone Weil y Hofmannsthal, de quienes repropone el magisterio con fascinante originalidad, Cristina Campo es una escritora deliberadamente marginal. Con una marginalidad que se puede calificar de aristocrática: con la marginalidad no de lo “underground”, sino de lo sublime.
Marginal era Cristina Campo, sobre todo, en su época, una época quizá de más prejuicios literarios que la actual.
Roberto Calasso, que la frecuentó en su juventud y que después se ha convertido en su principal editor, la presentaba, poco después de su muerte, como “una escritora que ha dejado la estela de unas pocas páginas imperdonablemente perfectas, totalmente extrañas a una sociedad literaria que no tenía ojos para leerlas. Esas páginas, sin embargo, encontrarán un día sus lectores. Y entonces aparecerán como una sorpresa verdaderamente desconcertante”.